Il Lonfo - Parte seconda

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  1. PAN23
     
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    Aédis gli si fece incontro a passi lievi. Si passò la punta della lingua in mezzo alla fessura delle labbra, impercettibilmente.
    «Il modo? Il modo, Karl, è che ci faremo passare per i nipoti legittimi del Signor Kia, come ti ho detto, e come ci ha detto di fare il Confine del Mondo, che ci aiuterà. Poco fa stavo pensando che potremmo anche sbarazzarci del corpo per non farlo ritrovare; potremmo farlo a pezzi e darlo in pasto ai piranha o alle formiche. Oppure lasciarlo tutto intero, darlo a Sarchiapone e vedere se lo mangia (mmm... forse però è un po' troppo grosso per lui...)» concluse lei ponendosi il medio sulle labbra, meditabonda.
    Karl scosse la testa, a far capire che per lui si trattava di una goffa, pessima idea. «E tu ti fidi di un tizio che non sappiamo nemmeno chi sia veramente, dove si trovi e che faccia abbia? Perché ci dovrebbe aiutare poi? Sorellina, io non mi fido, è un tranello. O agisce per conto del Signor Kia, o vuol servirsi di noi per impossessarsi lui stesso dell'eredità, mi sembra tanto chiaro... ma tu non lo vuoi capire». Il ragazzo si animò e la voce si fece squillante e concitata.
    Aédis si voltò dandogli le spalle. «Fratellino, cerca invece di capire che questa è la sola occasione che abbiamo per riuscire a cambiar vita» ella disse con voce commossa, rotta da qualche leggero singhiozzo, «altrimenti continueremo sempre a fare questa vita da schiavi. Io non voglio finire i miei giorni da serva, no, proprio no!...».
    «Tu stessa hai sempre detto che quel Signor Kia è peggio di un demonio. Poi però pensi che sia così facile riuscire a farlo fuori. E di reggere la parte della sua nipotina prediletta, quando tutti sanno che la nostra famiglia è stata al servizio della sua dai tempi di nostro nonno. Ma scusa! E con cosa poi pensi di metterlo fuori gioco? Con qualche veleno da due soldi di cui o lui stesso si accorgerebbe subito, o se anche crepasse si accorgerebbe in breve chi indagherà? Io ti capisco, credi che non piacerebbe anche a me riuscire a cambiar vita? Ma farlo così è solo una follia!».
    La ragazza si voltò repentinamente, portò la mano sulla guancia del fratello e cominciò ad accarezzarla con delicatezza. Gli alitava leggermente sul collo. Era divorata internamente da una voglia che a stento riusciva a trattenere.
    Il Lonfo, che di solito non vatercava né gluiva, stava lì a fissarli da dietro il vetro, con il suo sguardo statico ma che quasi si sarebbe potuto descrivere come attento, sebbene più vitreo del vetro che lo teneva prigioniero. Non avrebbe potuto fare altro del resto – quei due si erano piazzati proprio lì davanti. Orbo come tutti i batraci, era appena in grado di distinguere delle ombre, ma non si rendeva conto delle effettive distanze che separano gli oggetti, né era in grado di comprendere le proporzioni di ciò che vedeva. Forse il suo cervello primitivo si chiedeva, chissà, se i due fossero buoni da mangiare.
    «Io mi fido delle tre lettere che ho ricevuto dal Confine del Mondo – è solo una sensazione lo so, puro istinto, ma dobbiamo fidarci, non abbiamo nessun'altra possibilità».
    «Proprio di questo sono venuto a parlarti». Karl estrasse dalla tasca dei pantaloni una busta in carta di gelso, la passò sotto gli occhi della sorella. «Guarda questa. Tu già sapevi, da quanto mi hai raccontato sorellina, che molta corrispondenza del Signor Kia fosse con il Confine del Mondo».
    «Certo, da un po' di tempo a questa parte mi ha passato delle lettere perché le andassi a spedire, che erano indirizzate a questo suo misterioso conoscente. Nonostante ciò, credo ci possiamo fidare, che costui non stia dalla parte del Signor Kia; questo è il motivo per cui ci si può fidare, perché non fa il doppio gioco. Anche se non so perché il Signor Kia intrattenga rapporti con lui e cosa si scrivano, sono quasi certa che non si conoscano personalmente, quindi che non siano amici intimi...».
    «Bene. Giusto poco fa, dopo che il Signor Kia è andato via, sono riuscito ad intrufolarmi di nascosto in casa – sai che qualche volta lo faccio per vedere se per caso ci sia qualche cosuccia di poco conto da sgraffignare, fosse anche solo una mela per riempire lo stomaco –, e l'occhio mi è subito cascato su questa, che stava poggiata sul primo mobile che si trova all'ingresso. È stata inviata dal Confine del Mondo al Signor Kia. La busta era già stata aperta. Io ho letto quel che c'è scritto».
    «Sei matto! Hai commesso una grossa imprudenza! Dobbiamo subito riportala dove stava, prima che quel maledetto rientri...». Aédis strappò la busta dalle dita di Karl. «In ogni caso è strano che il Signor Kia abbia dimenticato e lasciato in giro una cosa così personale, in genere non lo fa mai... altrimenti vuoi che io stessa non abbia provato a frugare tra le sue carte alla ricerca di eventuali lettere? Non sono mai riuscita a scovare nulla, nulla». Con rapidità febbricitante ella estrasse dalla busta un foglio sempre in carta di gelso, lo dispiegò e con occhi altrettanto febbricitanti cominciò a posare uno sguardo rapido su quanto vi era scritto.
    “...Benché viaggiare non giovi alla fantasia, e ogni meta raggiunta sia in fondo una delusione già annunciata, ti esorto vivamente a prendere il coraggio a due mani, per lasciare infine la tua dimora... Vieni qui da me, e se risulterai tra i meritevoli ti prometto di farti uscire fuori dal Mondo che ti imprigiona e che tanto ti rende infelice... Vieni, lascia tutti i tuoi affari, non te ne pentirai... Parti per questo lungo viaggio che risulterà essere l'evento più importante della tua inutile vita. Ti attende un viaggio lungo e difficile; ti stai dirigendo verso un paese strano e sconosciuto. La strada è infinitamente lunga. Non sai se ti potrai riposare, né dove ciò sarà possibile. Devi prevedere il peggio. Devi prendere con te tutto ciò che è necessario per il viaggio...”.
    Aédis lesse quanto più potette dello scritto, tutto quello che le riuscì di decifrare e comprendere, con la massima attenzione di cui era capace.
    «Allora, che ne dici sorellina? Ti sembrano le parole di uno che stia tramando alle spalle di un nemico, quelle? Francamente a me no, anzi lo sta mettendo addirittura in guardia. E anche se fosse altrimenti non mi pare proprio che noi veniamo contemplati in questa faccenda. Che senso avrebbe sennò invitare il Signor Kia ad andare da lui, spingerlo a fare un lungo viaggio portandolo lontano da qui, in che modo poi potremo tentare di ucciderlo?» sottolineò Karl frattanto che lei aveva gli occhi sul foglio.
    «Be', in effetti... Non saprei cosa pensare...» disse Aédis lasciando cadere le braccia e il foglio sul grembo. Di tutti gli strani discorsi vergati sul foglio, in effetti, lei aveva capito molto poco. «Però... però non è detto che il Signor Kia sia intenzionato a fare una cosa del genere. Non si è mai allontanato molto da qui, non mi sembra un tipo molto propenso ai viaggi. Non ne sappiamo ancora abbastanza – ah, se solo potessi avere tra le mani le altre lettere e tutti i segreti che nascondono! Certo forse c'è un comportamento contraddittorio da parte del Confine del Mondo, però...».
    «Per questo ti dico che non possiamo fidarci, non ne sappiamo abbastanza! Questo tizio vuole giocare con noi come il gatto col topo, te lo dico io. Eppoi, uno che si cela dietro uno pseudonimo tanto pomposo quanto ridicolo... o è un agente segreto, uno che agisce per conto del Governo, o è uno sciroccato fanatico, un povero mitomane».
    Karl spostò la seggiola che era lì dappresso, ci si mise su a cavalcioni e poggiò i gomiti sopra lo schienale. Stette così pensoso tenendo la testa tra le mani, fissando la sorella. Aédis lo fissava a sua volta, come da principio. Lasciò scivolare dalle dita foglio e busta che planando andarono a finire sul pavimento. Si avvicinò pian piano al fratello.
    «Non temere, vedrai che riusciremo ad attuare il nostro piano, prima o poi, anche senza l'aiuto di nessuno» sussurrò Aédis sensualmente, passando la mano sulla testa di Karl e arruffandogli i capelli. Poi fece aderire la guancia del fratello contro il suo ventre. Lui sfregava la guancia e l'orecchio, percepiva il calore di lei, simile a quello di una gatta mentre fa le fusa. Percepiva la fragranza che lei indossava, dolce e fruttata e penetrante, fino ad inebriarsene – il ragazzo non aveva certo il naso affinato per riuscire a distinguere le varie tonalità, ma era un profumo appositamente composto e personalizzato da un rinomato profumiere, mescolava sentori all'essenza di mimosa, opoponax, mirra, zagara, kumquat, petit grain, ananas, mora, cacao, fior d'acacia e frangipane, con note di fondo al pepe rosa, mousse d'arbre, labdano e fava tonka (il profumo non era stato scelto da lei né era di sua proprietà, ché non avrebbe potuto permetterselo, ma le era stato donato – più correttamente, in verità, imposto – dallo stesso Signor Kia).
    Il Lonfo, che molto raramente barigattava, aveva fatto la per lui immensa fatica di protrarsi in avanti di un paio di centimetri, forse attratto dalla scena che gli si svolgeva davanti.
    «Sì, mio caro fratellino, vedrai come la nostra vita cambierà, quando avremo fatto fuori il Signor Kia». Mentre il suo sussurrare si era fatto più dolce, il corpo di Aédis cominciò ad abbassarsi formando come un arco sul capo del fratello. Afferrategli la scapole tra le braccia lei lo strinse a sé via via più forte, fino a che la sommità della testa di Karl fu inglobata nel solco tra i seni prosperosi della sorella. Il ragazzo era a corto di respiro, soffocato sia da quella stretta accogliente sia dall'emozione, e tuttavia si sentì piacevolmente accolto dall'invitante morbidezza, voleva sprofondarvi, morire in essa – cos'era la vita in fondo, se non un continuo sprofondare, scivolare nel progressivo annientamento? Aédis afferrava tra le dita ciuffi di quei biondi capelli con maggior foga, come presa da una passione dolce e rabbiosa al contempo.
    «No, non voglio, ti prego, fermati!» rantolò Karl. Egli rievocò con vergogna i momenti di quel giorno in cui loro due si erano abbandonati senza ritegno alla colpa più abietta, preda dei più deprecabili e irrefrenabili istinti, i quali avevano finito con lo sporcare senza rimedio quel rapporto così sacro e speciale che teneva lui unito a lei fin dalla più tenera età. Con somma vergogna egli rievocò, mista però a una sete infinita, un desiderio latente che sapeva di aver covato dentro di sé da sempre.
    «Non voglio, non possiamo, sai che è sbagliato, non deve ripetersi mai più» sentenziò il ragazzo con la voce rotta dall'affanno.
    «Sai perché prima ti ho detto che al Signor Kia non stai affatto simpatico?» riprese lei bisbigliando dentro l'orecchio di Karl con sensualità via via crescente. «Perché sono sicura che lui intuisce il rapporto speciale che c'è tra noi due, che va oltre quello tra un fratello e una sorella. Lui è geloso di te, sospetta che sei l'unico che può portarmi via dalla schiavitù che mi lega a lui». Poi ella afferrò il lobo dell'orecchio tra le labbra umide, glielo mordicchiò delicatamente.
    «No, no, non m'interessa... Che razza di stupidaggini stai dicendo? Se il Signor Kia davvero pensasse cose del genere sarebbe una tragedia, una tragedia – ti rendi conto di cosa vorrebbe dire una cosa simile? Io non potrei mai sopravvivere a una simile infamia, sorellina mia!».
    «Tu mi desideri Karl, è inutile che cerchi di nasconderlo. Mi desideri quanto ti desidero io. Per il Signor Kia credo di essere come queste bestie che stanno qua, un pezzo della sua collezione da tenere chiusa in una gabbia» e mentre diceva questo prese a sfiorargli le labbra con le dita, e poi vi adagiò su le proprie, sempre più umide e gonfie di voglia, con un tocco lieve e rapido. A quello ne seguì subito un altro, ben più lungo e meno delicato, quasi asfissiante.
    «Te ne potresti andare quando vuoi, se volessi» proruppe lui boccheggiante, dopo aver ripreso possesso della propria bocca e del fiato. «Noi siamo liberi. Dovremmo vivere con dignità, fieri di ciò che siamo, perché noi non siamo quello che gli altri pensano che siamo, qualunque cosa gli altri pensino o pensi il Signor Kia. Dovresti fregartene delle apparenze, siamo molto di più che semplici servi, e tu non sei il pezzo di una collezione, sorellina. Quelli della nostra famiglia hanno sempre lavorato duro, noi abbiamo sempre lavorato duro, non dobbiamo niente a nessuno. Non apparteniamo al Signor Kia, tu non appartieni al Signor Kia!» concluse in tono flebile e lamentoso.
    «Oh, povero il mio sciocco bambino, ancora non hai capito nulla! Sì Karl, noi gli apparteniamo invece, purtroppo. Ho avuto da sempre la chiara percezione di appartenergli. Anche in questo non c'è nulla di razionale e logico. Ma sento che noi gli apparteniamo in una maniera tanto sottile quanto all'apparenza saremmo dei semplici dipendenti. Gli apparteniamo in maniera profonda, ci controlla anche nei momenti di libertà. Ma più di tutto gli appartengo io. Gode della mia servitù come gode della prigionia di queste bestie qui. Però io non voglio appartenergli, io voglio appartenere solo a te, mio piccolo amore». Lei cominciò pian piano ad armeggiare coi bottoni della bianca camicia di lino che lui indossava, la sbottonò partendo dal collo mentre al contempo passava il palmo tiepido e umidiccio della mano sopra il petto bruno e glabro.
    «Non sai proprio quello che dici... Tu sei pazza, pazza... tra noi non deve esserci quel tipo di amore, è un sacrilegio» ansimò Karl, mentre la sua erezione con fierezza cercava varchi andando a picchiare contro la barriera dei suoi pantaloni.
    «Oh sì invece, fratello mio, deve, deve! Non c'è nulla di male, il nostro è il più innocente degli amori, il più puro. Non devi avere sensi di colpa. Solo all'interno del proprio sangue ci può essere un autentico legame».
    Il Lonfo, sdilencando ancora, si fece più avanti, fino ad arrivare – goffamente e dopo un inusitato sforzo – a sfiorare col muso il vetro della teca. Osservava, con attenzione distratta. Con le zampe posteriori diede qualche rapido colpetto, scavando una piccola fossa nel substrato di torba che lo circondava, poi gnagio s'archipattò.
    «Follia, quello che abbiamo fatto e stiamo facendo è pura follia, e tu lo sai bene, Aédis» protestò lui con una voce da medium in trance.
    Lei con un gesto rapido posò la sinistra sul sesso di lui ancora celato dalla stoffa, mentre con il palmo della destra continuò a compiere ampi e lenti movimenti circolari sul petto del fratello.
    «Karl, noi possiamo essere dei veri amanti. Tu potresti essere il mio principe. Non vorresti che io diventassi la tua principessa?».
    Ella cominciò a dare colpetti di lingua all'interno del padiglione dell'orecchio, alternandoli ai piccoli morsi sul lobo. Lui tentò di divincolarsi e di allontanarla, facendo pressione con l'avambraccio sopra il seno, scansò la propria testa piegando bruscamente il collo dalla parte opposta a quella della consanguinea bocca tentatrice. La mano si ritrovò a stringere uno dei due morbidi emisferi, per logica necessità o beffa del destino, e le labbra di Aédis repentinamente presero ad inseguire l'oggetto che intendeva rifuggirle – tanto poco la gota di Karl s'era riuscita ad allontanare, tanto più la famelica bocca di Aédis si stava facendo dappresso a quella preda all'apparenza ritrosa.
    «Mio principe, mio amato, dolce fratellino mio!» bisbigliò lei con enfasi estatica.
    Karl venne colto come da nausea, da conati di vomito. Eppure, frammisti a quegli spasmi di disgusto e paura, v'erano già in germoglio i semi segreti della più sfrenata voluttà. Lei imperterrita proseguì ad afferrargli la bocca tra le sue labbra, mentre con la mano andò ad armeggiare sull'invitante fagotto, già da un bel po' spuntato nel mezzo delle gambe di lui rimaste divaricate in mezzo allo schienale della sedia; prima si mosse a tentoni facendo passare la mano per il varco aperto tra le liste della sedia, ma poi quand'ebbe afferrata tra l'indice e il medio l'agognata protuberanza tubolare questa acquisì la sicurezza aggressiva degli artigli di un falco. Quel fagottino, timido e tenero virgulto al principio, si stava via via trasformando in un fiore gagliardo pronto a sbocciare, attendendo soltanto di essere aizzato dal tocco delle dita di lei, che glielo fecero sentire senza farsi pregare, prendendo a tastarlo lievemente; così in breve s'ingrossò tanto più quanto la stretta delle dite fraterne aumentò d'irruenza fino a rendere la pressione così famelica da risultare quasi stritolante. E il bitorzolo si fece impetuoso come un tronco in mezzo alle rapide di un fiume in piena, si mise a fuoco come una freccia pronta a colpire il bersaglio. Una volta individuato il tiretto della cerniera, il pollice e l'indice lo afferrarono e pian piano lo fecero scorrere giù. Quindi la mano di Aédis si intrufolò all'interno, con dolcezza curiosa. Karl era rimasto come di sale, imbambolato, il petto scuro lasciato scoperto dalla camicia, lo sguardo sgranato a fissare le poppe della sorella, un goccino di bava pendente dall'angolo del labbro, la bocca che emetteva solo un rantolio sommesso appena percettibile.
    La mano andò a frugare al di sotto della stoffa degli slip, carezzando il vello riccioluto dei peli biondicci sul pube, poi di nuovo tornò ad agguantare con decisione l'asta, riuscendo ad apprezzarne la sempre più solida consistenza e l'accrescimento in volume. Finalmente, dopo un breve movimento manipolatorio, riuscì a farla sgusciare fuori, e la mazza fece la sua apparizione dalla palpebra spalancata della patta, attraverso le liste della sedia, schizzando all'improvviso come una molla compressa; lunga, sottile, di un tenue color cipria. Ondeggiò un poco su e giù contro il ventre del suo proprietario fin quasi a lambirlo, poi si piegò vistosamente di lato alla sinistra di lui, dirigendosi verso il ventre di lei, quasi attratto come lo è il ferro dalla calamita. Era tenuta ben salda per la base dalla mano, le cui dita, con una delicata lenta carezza dei polpastrelli, cominciarono a risalire fino alla cima. E giunte sulla punta, con esse Aédis scappucciò il baccello che odorava di giovinezza e di smegma. Karl sgranò ancor di più gli occhi, fissò per qualche attimo il suo arnese, come sentendosi stupito da quella reazione istintiva che la sua coscienza ripudiava. Il volto gli cominciò a sudare.
    Lei si accovacciò ai piedi del fratello, protesa verso il grembo di lui. I lunghi capelli corvini ricadendo all'ingiù le nascosero la faccia e si sparsero lungo gli angoli della sedia, tra le cosce e le ginocchia di lui. Così nascosta gli titillò il frenulo con compiaciuta dolcezza, i polpastrelli si mossero eseguendo piccole maliziose carezze con movimenti studiati, un poco rotatori e appena percettibili se fossero stati sottoposti ad uno sguardo, ma dalla potenza di un terremoto al senso del tatto in una così sensibile zona. A quella stimolazione il batocchio ebbe un'impennata, e il glande si rigonfiò protendendosi verso la faccia di lei. Aédis sorrise soddisfatta. La ragazza contemplava con le palpebre socchiuse quel magnifico pezzo di carne suo consanguineo, con quella sua testa così lucida, quasi luccicante al di sotto della penombra formata dalla chioma, rosea di timidezza. Poi avvicinò la bocca, e diede tre colpetti con la lingua.
    «Aéeediiisss...» fece lui emettendo un prolungato singhiozzo.
    «Oh Karl, piccino mio, non farai mica come l'altra volta, eh, che sei venuto subito!». Lei si arrestò per qualche istante, indecisa se interpretare i gemiti del fratello come manifestazione di disgusto o piuttosto dell'approssimarsi prematuro dell'acme del piacere, se come segnale di smettere o invito a proseguire.
    «Mmm, che buono, sa di pipì...» asserì lei dopo aver allontanato quella testa saporita dalla bocca, sorridendo e ridacchiando con garbo ammiccante mentre sollevava la faccia e gli occhi a cercare la complicità di quelli del fratello, facendosi largo tra la fessura che le braccia di lui sopra di lei avevano formato come fossero due sbarre. E vide che a quelle parole il volto di Karl era arrossito un poco, ma lui restava silenzioso e come assorto.
    «Non temere, tesoro mio, a me piace questo sapore... il tuo sapore...» ridacchiò languidamente lei, nel tentativo di toglierlo dall'imbarazzo e rassicurarlo.
    Non percependo altri segnali dal ragazzo, rimasto sempre immobile con quelle gambe larghe che ormai parevano legnose quanto la sedia, le mani poggiate sul capo di lei, e muto quasi senza respirare, Aédis si fece di nuovo avanti con la bocca, e mentre gli afferrava le palle ancora all'interno degli slip facendole fuoriuscire con un vivace e fin troppo energico massaggio, passò velocemente la lingua per tutta la lunghezza dell'asta partendo dalla base fino a giungere al frenulo. Lì riprese l'opera da dove l'aveva lasciata, si soffermò con perizia meticolosa avviluppando la lingua tutt'attorno alla base del glande, e poi, come se stesse eseguendo una lenta funzione religiosa, lo fece sparire, lo sprofondò all'interno del proprio tabernacolo salivante – la sua bocca devota.
    «Ooooh, aagh, oooognmh...» esplose l'inesperto e frettoloso ragazzo dopo pochi istanti, con gemiti a stento soffocati. Il suo membro si scosse violentemente e schizzò cinque getti molto abbondanti di sperma, accolti con gratitudine dalla cavità orale della sorella, la quale colta di sorpresa fece arretrare la faccia di una spanna, dando qualche secco colpo di tosse non appena la cappella del fratello fu libera dalla stretta.
    «Mghlmn...mghlmn... ah ah, birbantello, come volevasi dimostrare anche stavolta, mghlmn... sei venuto subito!» ella disse, mentre deglutiva con calma la calda sborra del fratello. Contemplò ammirata e, nonostante tutto soddisfatta, il pene che ballonzolava un po' qua e un po' là in piena libertà, non fiaccato dallo sforzo dello scarico ma ancora arzillo e gioioso, col glande lucido avviluppato da una patina di saliva mista a sperma, dalla cui punta partiva un filetto opalino che lo collegava ancora alla bocca della ragazza come un ponte tibetano. Si passò le dita sull'angolo destro della bocca dove stava colando un rigagnolo biancastro, e subito dopo diede una voluttuosa passata di lingua lungo l'indice e il medio.
    «Bwag, bwag, bwaaag...». Il Lonfo, come se all'improvviso fosse pieno di lupigna, emise questa sorta di gracidio, un suono sordo e gutturale – altra cosa del tutto inusuale per lui. Essendo un esemplare maschio era in possesso della capacità di cantare, e in genere i maschi della sua specie sogliono cantare soprattutto nel tempo dell'estro, come richiamo per le femmine, durante i periodi di pioggia alluvionale che seguono quelli più secchi, e nei quali questi anfibi sono predisposti all'accoppiamento per deporre le uova nelle occasionali pozze d'acqua che vengono repentinamente a formarsi, ma destinate a prosciugarsi altrettanto repentinamente. Questo evento non si era mai potuto verificare da quando era tenuto in cattività (d'altronde non v'era nemmeno la presenza di una sola femmina), e pertanto nessuno lo aveva mai udito cantare, forse anche perché si trattava di un tipo piuttosto pigro.
    «Uh, hai sentito, Karl? Cos'è stato?».
    «Che ne so? Qualcuna delle bestie qui dentro, che altro sennò?».
    «Le creature che stanno qui sono sempre silenziose, almeno di giorno. È strano. Non mi sento tranquilla».
    «Forse è la coscienza che ti rimorde...» disse Karl in un tono tra il sogghigno e il rimbrotto, mentre sembrava rianimarsi.
    «Non dire stronzate, sai bene che il Signor Kia potrebbe essere nei paraggi».
    «E si mette pure a fare versacci adesso?!» ironizzò lui. Aédis si risollevò, si guardò attorno e poi girò la testa alle spalle; così i suoi occhi incrociarono quelli che spuntavano dalla faccia blu del ranocchione inebetito.
     
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